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gio, feb 19 2004

P.P.A. (Piccolo Post Autoreferenziale) /2

Utilizzo le mie esperienze per continuare a parlare d'altro. I tre libri che compaiono nell'immagine mi hanno formato, in tempi diversi e in modi diversi, al teatro. Dopo il primo periodo "al naturale", ossia formandomi direttamente sul palco, mi sono accorto di aver raggiunto un limite che non riuscivo a superare, limite che mi è apparso ancora più chiaramente durante un pezzo a due fatto con una attrice uscita dai corsi del "Piccolo" di Milano. Se avesse usato in parte o tutta la sua "concentrazione" non l'ho mai saputo, ma li ho capito che se volevo andare avanti dovevo "studiare". E alla Sapienza di Roma, si fa avanti il primo libro, il metodo Stanislavskij, studiato mentre ancora esisteva il DMS (dipartimento musica e spettacolo). Un approccio fantastico e rigoroso, sostenuto da un libro che è un diario (un blog?) di un giovane attore teatrale che fa un corso, fa cappelle, viene ripreso, scopre nuovi sistemi per mettere in scena le emozioni e così via. Qui parte la prima fase della "nuova via", ma il metodo, che è la base per tante cose, alcune volte è esagerato, almeno se si dovesse mettere in pratica alla lettera quello che dice. Qui si inciampa nel premio nobel Fo, di cui vedo (in videocassetta) il mistero buffo e "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe", scopro oltre ai testi il "manuale minimo dell'attore" che è letteralmente una fulminazione. Non abbandonare Kostantin, ma utilizzare solo le cose che servono effettivamente, mentre per il resto ci sono altre vie e inoltre la maschera, la scena vuota, i tempi comici. E' un periodo di ristrettezze per le messe in scena, arriva quasi contemporaneamente il terzo libro, "facciamo insieme il teatro" di Luzzati e Conte. Scene fatte con tavoli, sedie e stracci.

Ora mi viene da pensare ai periodi che passano fra i vari libri, ovvero quando sono stati scritti. Il metodo Stanislavskij e di poco pre-rivoluzione, ti fa pensare ad una Russia con grandi teste e grandi capacità, non ti da' un vero contesto storico, ma c'è qualcosa di molto solenne (e anche un po' statico). Conte e nella parte della scenografia Luzzati scrivono il loro negli anni '70, grandi sommovimenti contro la scena teatrale da "interno borghese", il teatro deve essere fuori dagli spazi consueti (però nel libro c'è Fo che dice "meglio il teatro dell'opera" per mettere in scena), nelle fabbriche, nelle cantine, nei piccoli teatrini periferici. Però in realtà il sipario è tornato davanti ai loro lavori (Luzzati firma le scene per lo spettacolo di Paolo Poli "JACQUES IL FATALISTA") e tutta l'acredine per lo spettacolo tradizionale è sparita al solito. Alla fine, se c'è la possibilità, la tela la vogliono vedere muovere tutti, con buona pace dell'iconoclastia. E intanto nei teatrini, nei sottoscala, il teatro che cambia e sperimenta continua a muoversi e ad esistere (solo che ora viene sprezzantemente chiamato Amatoriale, vedi in proposito il post su questo argomento).

Xabaras scrisse ciò alle 12.15.33 PM  Permalink