FESTIVAL OFFICINA TEATRO XI – 2007 \3

Il mio gruppo va in scena (ma non io).
Ecco a voi:

UOVO FRITTO – Storie da manicomio
16 e 17 febbraio 2007 ore 21.00 – 18 febbraio 2007 ore 18.00
Testo scritto da: Fabio Barbati, Rosalba Carchia, Angela Coalizzi, Gianni Corsi, Paola Curione, Emanuela Gentile, Anna Vittoria Langmann, Miriam Mareso, Simone Nebbia, Carmine Sacco, Tiziana Salvatori, Antonella Sanetti, Carla Vincenti
Coordinati da SIBILLA BARBIERI
Regia
PAOLO ALESSANDRI

LA STORIA

L’ospedale Santa Maria della Pietà nasce come struttura caritatevole, come “ricovero per i pazzerelli” ma nel tempo si trasforma in un ospedale immenso, mostruosamente chiuso al mondo.
Un piccolo villaggio che ospita fino a tremila pazienti, con stalle, azienda agricola, macello per le carni, alle porte di Roma ma irraggiungibile ed autonomo.
Entrarci era facile, per la legge, bastava essere definiti “pericolosi per se o per gli altri”.
La definizione di malattia mentale è sempre stata sfuggente ed è quindi sempre stata anche un ottima scappatoia sociale per liberarsi degli individui deboli o troppo trasgressivi.
Al Santa Maria, nel tempo, vennero rinchiuse le donne “isteriche” (una malattia che aveva diagnosi e sintomi ma che è completamente scomparsa, essendo solo un’invenzione culturale) gli epilettici, i bambini orfani che nessuno reclamava, gli anziani confusi.
A volte, negli antichi registri d’entrata, era scritto a chiare lettere :ricoverato per “idee politiche”.
La percentuale di malati veri era circa il due per cento.
A questa fragile umanità, l’ospedale offriva l’eletroschok e la sedazione chimica, spesso era un carcere a vita. Il paziente entrando perdeva ogni diritto civile e scompariva al mondo.
Uscire infatti era difficilissimo. Un dottore doveva assumersi per sempre la responsabilità civile del paziente dimesso, oppure era necessaria la firma di un parente del malato. Nessuno dottore voleva assumersi una responsabilità così gravosa, difficile da accettare anche tra “sani”. Inoltre molti pazienti erano soli, senza parenti disponibili, o non potevano chiedere aiuto perchè il loro disagio era nato proprio tra le mura domestiche.
Tutto questo fino alla legge Basaglia che cambia drasticamente le cose.
Il manicomio era un orrenda aberrazione, nel bene e nel male, dobbiamo sperimentare altre strade per trattare con i nostri matti.
Un’ultima informazione, gli ultimi pazienti sono usciti dal Santa Maria nel 1996. L’Italia non ha più un manicomio, ma in tutto il resto del mondo i manicomi esistono ancora.
Lo spettacolo è frutto di un lavoro di ricerca ed è scritto a più mani.
Nella storia troviamo la vita del manicomio nell’ultimo periodo prima dello smantellamento: la vita quotidiana dei pazienti e dei dottori/custodi, vicende tragiche e comiche allo stesso tempo. Un mondo paradossale in cui si mischiano la sopraffazione, la giustizia e la poesia.

LE NOTE DI REGIA:

Un “piano sequenza” senza soluzione di continuità ci porta dentro l’istituzione manicomio. Il percorso è ‘dolce’, progressivo, inarrestabile. Il percorso accomuna interpreti e spettatori. I colori sono assortiti, come assortita è l’umanità rinchiusa all’interno del ‘Santa Maria’. Rinchiusi sono i ‘pazienti’, rinchiusi sono gli infermieri/guardiani, rinchiusi i dottori e rinchiuse le suore, vere padrone di casa. Il piano sequenza spesso diviene ‘soggettiva’ dei nuovi arrivati: il giovane infermiere ed i pazienti più freschi. Tragicomica la vita si dipana sotto lo sguardo di questi novizi, e nel suo fluido srotolarsi ci porta a conoscere glorie e vergogne del Santa Maria. Il nucleo non è più, allora, la pazzia. Abbiamo forse (deliberatamente) disatteso le aspettative di chi si attendeva un lavoro sulla follia: l’istituzione manicomio è in primo luogo istituzione, luogo ‘chiuso’ che diviene comunità autosufficiente ed autonoma, dove progressivamente il senso oggettivo della realtà viene trasfigurato, deformato da una necessaria assuefazione. Infermieri, pazienti, primari e suore ‘devono pur vivere’. Non è un caso che le barzellette più ciniche sugli incidenti da pronto soccorso siano raccontate dagli stessi dottori che vi lavorano: il cinismo è d’uopo in un’istituzione in cui il vivere quotidiano è quantomeno orribile. Le ‘triplette chimiche’, la camicia di forza, lo shock elettrico, la lettura di un quotidiano sportivo, la refezione, il vomito fisico e quello emotivo, i meccanismi di sopravvivenza, l’orrore, il torpore ozioso, le domande senza risposta, l’amore, l’indifferenza, la disperazione: nessuna di queste componenti quotidiane viene esaltata a scapito di un’altra. Tutto è grottescamente simultaneo, tragicamente necessario. La follia che abbiamo scelto di approfondire non è dunque quella (presunta o reale) che ha portato alla reclusione dei nostri ‘pazienti’. Ci ha attratto molto più quella follia seducente che da sempre facilita la sopravvivenza umana: l’assuefazione al dolore (proprio ed altrui). Nel disegno registico pazienti, infermieri, dottori e suore vengonono trattati con lo stesso guanto. A nessuno è stato chiesto di essere pazzo, di stupirsi o di vergognarsi. A ciascuno però è stata affidata una competenza: quella di pensare alla propria sopravvivenza all’interno dell’istituzione: la Follia, incidentalmente, è venuta da sé.
Oziosa, normale, buffa, tragicamente quotidiana.

con gli ATTORI del laboratorio di recitazione

Fabio Barbati Adriano
Barbara Cacchiarelli Letizia
Barbara Chiacchiarelli Claudia M.
Andrea Di Cesare Salvatore B.
Alessandro Freddi Slavatore D.
Francesco Lepore Mario
Lucia Massaroni Suor Giovanna
Paola Mele Grandioso
Valeria Nardella Agata
Carlotta Paladini Francesca B.
Maria Cristina Papeo Albertina
Moana Persiani Germana
M.Antonietta Piliego Dottoressa
Cristina Presutti Maria M.
Roberta Provenzani Flavia R.
Ania Rizzi Bogdan Pazzerella 1
Barbara Sapuppo Pazzerella 2
Rosanna Saracino Maestra
Amalia Scaramuccia Suor Angela
AIUTO REGIA: Valerio Borin
SCENOGRAFIA: Emiliano Bulzoni, Manuela Di Donna
COSTUMI: Manuela Di Donna
COMPOSIZIONI MUSICALI ORIGINALI DI Renato Di Benedetto

Questa sera (o al limite domani) cercherò di esserci.
MERDA ragazzi!

One thought on “FESTIVAL OFFICINA TEATRO XI – 2007 \3”

  1. Sono sicura che la Dottoressa è stata la mejo! Io poi ho un debole per le dottoresse! 🙂

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